…Allora ricordò quell’ultima sera d’angoscia e d’amore, quando sui campi li sorprese il temporale.
Il cielo a ponente era coperto di nubi; sulla Foce, in direzione S.Albino, all’improvviso balenarono i fulmini tracciando intermittenti bagliori violacei. Si alzò un forte vento umido e fresco che investì la campagna e fece piegare i canneti della palude che s’agitavano contorcendosi fino a toccare la superficie increspata dell’acqua. In lontananza, sopra Sarteano, un fulmine attraversò una nube grigiastra e minaccioso brontolò il tuono; lungo lo stradone del Ponte nero, si vedeva un turbinio di polvere, le foglie dei pioppi si staccavano dai rami e in balia della bufera svolazzavano dappertutto, finendo sui campi e lungo la proda del fosso.
Velio guardava le nuvole nere e gonfie di pioggia che sempre più si avvicinavano verso la pianura. Sentì sul viso accaldato i primi goccioloni misti a chicchi di grandine, affrettò il passo, gettò la zappa ai piedi di una vincaia, non rispose ai richiami del cugino Domenico, che a sua volta si era avviato correndo in direzione del casottino vicino alla palude, e s’incamminò per lo viottolo che conduceva alla capanna dove di giorno sostavano i buoi.
L’acqua cadeva a catinelle e il vento sibilava. Lo stollo del piccolo pagliaio dietro la capanna si piegò come un giunco e una ventata più forte lo spezzò; il fieno volò via lontano sparpagliandosi in se stesso, si alzò e si riabbassò trasportato dalla bufera, poi tutto fu avvolto dallo scroscio forte dell’acquazzone.
Ansimando Velio entrò nella capanna, si tolse il berretto e lo scrollò più volte per far cadere l’acqua; i buoi muggirono impauriti dal fragore dei tuoni, dentro c’era poca luce, lentamente volse lo sguardo intorno e si sentì raggelare per un attimo il sangue: sull’angolo, appoggiata con la schiena alla mangiatoia c’era Miria. Lei lo guardò con espressione maliziosa, piena di complicità; quasi impacciato, Velio gli andò incontro: < tu...qui? Oddio come sei bella stasera! >
< Mirini mia...ti amo, tivoglio bene, ti voglio! Ti voglio amor mio, un posso più campa' senza te...scappiamo lontano, non sposà' chel mascalzone... pe' l'amor di Dio! Un lofa', un lo fa'!.
Un bagliore rischiarò per un attimo la capanna. Un tuono fortissimo squarciò l’aria lì vicino. La pioggia batteva cadendo sulle foglie dei gelsi e dei pioppi, sulla tettoia della capanna e scorreva veloce in tanti piccolissimi rivoli lungo la strada, con un rumore corale e triste, simile al mormorio dei canti e delle preghiere recitate la Domenica nella chiesetta del Popolino. Miria con gli occhi socchiusi, respirava l’aria fresca e l’odore forte della terra bagnata: tacevano entrambi assorti nei ricordi e delusi dai sogni che stavano infrangendosi. < Bella! Bella mia bella! > le sussurrava Velio con la voce tremante e disperata, di chi sa di perdere parte della propria vita, poi contraddicendo il suo dolore le disse:
< tu sei la mia vita, Mirina cara >. Dopo un attimo si riebbe, passò la mano sul viso che gli bruciava come avesse la febbre e nuovamente i loro occhi s’incontrarono rispondendo ad un desiderio comune, forte ed insopprimibile, eterno come la vita, come la morte. S’abbracciarono ancora poi, con le mani screpolate e ruvide, Velio le sbottonò la camicetta colorata, scoprendole i seni che apparvero rosei, sodi, immensamente belli. Li baciò ripetutamente, baciò i riccioli biondi che le cadevano sulla nuca abbronzata dal sole; respirò l’odore dolciastro di sudore femminile, simile al profumo del pane lievitato. Entrambi si profusero in accorate carezze, poi trasportati da un ardore profondo che li rendeva in quel momento privi di ogni pregiudizio e paura, appassionatamente s’amarono, coricati sulla paglia, sotto lo sguardo degli occhi grandi e languidi dei buoi.
Intanto il temporale era cessato; lassù, sopra le colline passavano nuvole nere che si scioglievano disperdendosi al vento. In direzione di Chiusi, fin sopra al monte Cetona, l’arcobaleno curvava i suoi iridescenti colori.
< Lelino caro… io t’amerò per sempre…sarò tua, lo giuro! Sempre!, Sempre,Sempre! >, < ma allora perché, perché…Miria…? >, le supplicò Velio, < Oh…Lelo >, sospirò lievemente lei, sfiorandogli con le labbra le dita della mano che gli teneva tra le sue, < lo sai che un ci posso fa’ gnente, è così! E’ ‘l destino >.
Si strinsero in un ultimo prolungato abbraccio, poi Miria si accertò che nessuno la vedesse e uscì per prima dalla capanna. Caricò sulla testa il cesto pieno d’erbamedica, non si voltò, non voleva far vedere al suo amante le lagrime che le scendevano calde sul viso. Velio sentì un dolore lancinante allo stomaco, la loro separazione era insopportabile, pianse.
Il sole basso penetrava con gli ultimi raggi tra i rami degli alberi bagnati che parevano tinti di porpora. Le foglie gocciolanti si rispecchiavano sull’acqua del fossato che costeggiava la strada. Velio camminava davanti ai buoi tenendoli per i paiali mentre sentiva nelle orecchie un ronzio simile all’eco delle campane; diede un ultimo sguardo verso il fiume nella speranza di vederla ancora. Sui campi già allungavano le prime ombre crepuscolari.
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